Vivere
vuol dire muoversi negli spazi dove ogni giorno costruiamo relazioni e
svolgiamo la nostra vita: la casa, il luogo di lavoro, il quartiere. Stare nei luoghi
dove passiamo la maggior parte del nostro tempo e abitarli, assicurandoci livelli
crescenti di benessere e di comfort è uno dei grandi driver che guidano le
scelte di persone e famiglie, a cui il mercato e le politiche sociali ed
economiche sono chiamati a dare adeguate risposte. Risposte che oggi possono
accedere a conoscenze e a una gamma ampia e in continua evoluzione di strumenti
e soluzioni. Il cambiamento che stiamo vivendo è frutto di almeno due grandi
fenomeni. Il primo riguarda una profonda trasformazione della struttura stessa
delle società occidentali avanzate tra le quali la nostra; il secondo un
processo di mutamento radicale nei meccanismi che regolano le relazioni tra le
persone e tra esse e le cose.
Siamo
nell’era dell’Ict e della digitalizzazione, dell’Iot. Stiamo passando dall’economia
lineare all’economia circolare e lo spazio abitativo è al centro di questa
rivoluzione. Siamo all’interno di un vortice caratterizzato da profonde
trasformazioni dal quale emergono mappe demografiche impensabili solo venti
anni fa e una multiculturalità figlia di una globalizzazione inarrestabile
anche se riconfigurabile, che genera nuovi modelli di vita, profondamente
diversi da quelli del passato. Da questi nuovi stili di vita scaturisce una
domanda abitativa articolata, fluida, che impone al sistema produttivo della
filiera delle costruzioni una attenzione e una rinnovata capacità di saper
coniugare al meglio imprenditorialità e innovazione. Ci vuole consapevolezza,
spirito critico, intelligenza e gusto. Ci vuole una crescita culturale in cui
utenza e sistema produttivo insieme trovino le soluzioni per creare le
condizioni migliori per vivere bene. Nella conferenza di Udine ci siamo
occupati di riflettere sul rapporto tra l’innovazione e la trasformazione del
mercato, individuando paradigmi e soluzioni. Ne è emerso uno scenario dai
confini dilatati e da quantità ridotte, caratterizzato
da ampie potenzialità e opportunità per chi sappia coglierle dotandosi di nuove
competenze e di un approccio che richiede attenzione ai fenomeni e a queste
nuove esigenze sapendone afferrare i fattori più significativi. Tra questi vi è
sicuramente il mutamento profondo della società italiana.
Cosa sta succedendo alla popolazione italiana?
All’origine
di questa trasformazione vi sono alcuni cambiamenti demografici. Come sempre i
numeri ci aiutano a capire quello che sta avvenendo e a orientarci su quali
conseguenze questi mutamenti abbiano sul mercato edilizio. Al primo gennaio
2016 la popolazione italiana era di circa 60 milioni e 666mila residenti, di
cui 55,6 milioni di cittadinanza italiana, con una riduzione rispetto al 2015
di circa 130mila unità, pari a un tasso di crescita naturale negativo del 2,7
per mille1.
Ed è la prima volta (se si esclude un -0,1 x 1000 registrato nel 1986) dal
1952. Cresce la consapevolezza che siamo di fronte a un’inversione di tendenza
destinata a durare nel tempo.
Ce
lo conferma Eurostat che stima al 2050 una popolazione totale di 58.968.137. Un
trend sostenuto altresì dall’esaurimento della spinta propulsiva dell’immigrazione,
non più in grado di compensare il calo demografico degli italiani e una
crescita dell’emigrazione, soprattutto giovanile.
Il
calo della popolazione è determinato dalla forte contrazione delle nascite (485.780)
registrata nel 2016: ben circa 17mila in meno rispetto all’anno precedente. Si
tratta del nuovo record di minimo storico dall’Unità d’Italia, dopo quello del
2013 (-20mila circa) e del 2011 (-15mila).
Il
rapporto tra morti e vivi registra una dinamica naturale della popolazione negativa
per 162mila unità, evidenziando come il ricambio generazionale - che non viene
più garantito da nove anni - si vada progressivamente contraendo passando da
-7mila unità nel 2007 a -25mila unità nel 2010, fino a -96mila nel 2014. La
causa principale va individuata nel numero sempre più basso di donne in età
feconda, a cui si aggiunge una diminuzione della propensione ad avere figli. Il
calo delle nascite è da attribuirsi per lo più alla diminuzione dei nati con
cittadinanza italiana: più di 90mila in meno rispetto al 2008. Il numero medio
di figli per donna si abbassa rapidamente di generazione in generazione: dai
2,5 figli delle donne nate nei primissimi anni venti con un’età media al primo
figlio di meno di 24 anni, si passa ai 2 figli per donna delle generazioni dell’immediato
secondo dopoguerra con un’età media di poco più di 25 anni, fino a raggiungere
il livello stimato di 1,5 figli per le donne della generazione del 1970, con un’età
media di quasi 30 anni. L’8,2 per cento dei nati ha una madre di almeno 40 anni
mentre nel 10,3 per cento dei casi la madre ha meno di 25 anni. Considerando le
sole donne italiane la posticipazione della maternità è ancora più accentuata: il
9,2 per cento ha almeno 40 anni (contro il 4,2 per cento delle donne straniere)
e solo l’8,2 per cento meno di 25 anni (il 18,9 per cento tra le donne
straniere). Un fenomeno strettamente connesso con la formazione di nuove
famiglie.
Una casa a dimensione di famiglia, ma quale famiglia?
Il
numero delle famiglie invece continua ad aumentare. Dal 1971 al 2011 le famiglie
italiane passano da 16 milioni a 24,6 milioni (+54 per cento). Nel Veneto nello
stesso periodo sono passate da 1,1 milioni a quasi 2 milioni (+79,3 per cento).
E tra il 2011 e il 2015 l’Istat registra un aumento di circa 800 mila famiglie
(+3,2 per cento). Un aumento a cui corrispondono profondi cambiamenti per
quanto riguarda la loro composizione: il 31,3 per cento nel 2015 era costituito
da un solo componente, il 27 da due componenti e il 20,2 da tre componenti. Il
restante 21,5 per cento era composto da 4 e più componenti.
Il
54,1 per cento delle famiglie unipersonali è rappresentato da persone con oltre
60 anni, maggiormente donne (73,0 per cento). E nel Veneto la quota di famiglie
sole costituite da persone con più di 60 anni raggiunge il 56,3 per cento (72,3
donne). Le famiglie in Italia tendono a essere sempre più piccole: nel 1971 una
famiglia era mediamente composta da 3,3 persone, nel 2011 da 2,4 e nel 2015 risulta
pari a 2,3.
Inoltre,
le famiglie formate da una sola persona sono quasi una su tre e risultano in
notevole aumento rispetto al censimento 2001, a causa del progressivo invecchiamento
della popolazione e dei mutamenti demografici e sociali. Dal 2001 al 2011 sono
passate da 5.427.621 (24,9 per cento del totale delle famiglie) a 7.667.305
(31,2 per cento rispetto al totale). Il trend è opposto per le famiglie
numerose (con 5 o più componenti), che passano da 1.635.232 (7,5 per cento di
tutte le famiglie) nel 2001 a 1.408.944 nel 2011 (5,7 per cento). Il nord-est
si attesta su valori al di sotto della media del Paese.
Composizione delle famiglie ai censimenti e anni 2012-2015.

Matrimoni e divorzi
Un
altro indicatore al quale dobbiamo prestare attenzione è quello relativo ai matrimoni
e ai divorzi che determinano dal nostro punto di vista il livello di “mobilità
familiare”, un aspetto che ha effetti non secondari in termini quantitativi sulla
nuova domanda abitativa. Se nel periodo 2008-2014 i matrimoni sono diminuiti in
media al ritmo di quasi 10.000 all’anno, nell’ultimo biennio sono invece
cresciuti: 2.000 in più nel 2015 rispetto all’anno precedente.
Ci
si sposa in età sempre maggiore e si registra una permanenza sempre più prolungata
dei giovani nella famiglia di origine. Nel 2015 viveva con i genitori l’80,9
per cento dei maschi tra i 18 e i 30 anni (oltre 3 milioni e 200.000) e il 69,7
per cento delle loro coetanee (oltre 2 milioni e 700.000).
Alla riduzione dei matrimoni corrisponde un aumento delle separazioni legali e
dei divorzi, che nel 2015, rappresentavano il 42,4 per cento dei matrimoni
totali. Erano il 27,6 per cento nel 2014 e appena il 2,4 per cento nel 1971.
Nel 1995 per ogni 1.000 matrimoni si contavano 158 separazioni e 80 divorzi,
nel 2015 si arriva a 339 separazioni e 297 divorzi ogni 1000 matrimoni. Un
altro dato che ci fa comprendere il profondo cambiamento che stiamo vivendo
riguarda la percentuale di “nati vivi fuori dal matrimonio”. Nell’Europa a 28
Paesi nel 2012 il 40.0 per cento dei bambini erano nati fuori dal matrimonio,
contro il 27,3 per cento registrato nell’anno 2000. La quota di nascite
extra-coniugali è in aumento in questi ultimi anni in quasi tutti gli Stati
membri dell’UE. Nel 2014 le nascite extra-coniugali hanno rappresentato la
maggior parte dei nati vivi in Svezia (54,6 per cento), Bulgaria (58,8) e in
Slovenia (58,3). In Italia, si è passati dal 2,4 per cento nel 1960 al 28,8 nel
2014.
L’invecchiamento della popolazione: servono strategie
e progetti
Nel
2016 gli over 65 residenti in Italia pesano, sul
totale della popolazione, per il 22 per cento e, secondo le previsioni
Eurostat, saranno circa il 34 per cento nel 2050, ovvero più di una persona su
tre sarà anziana. Nel nostro Paese continua a diminuire la popolazione in età
attiva (15-64 anni) tanto che al 1 gennaio 2016 rappresenta il 64,3 per cento
del totale e nel 2050 scenderà al 54 per cento. Così come pure scende la quota
di giovani fino a 14 anni di età, oggi al 13,7 per cento del totale (12 nel
2050). Il rapporto tra popolazione attiva e non è fotografato attraverso l’indice
di dipendenza strutturale che nel 2016 è stato pari a 55,5. Se osserviamo le
serie storiche dal 1971 al 2011 ci accorgiamo che in Italia siamo passati da 1
anziano a quasi 4 anziani (3,7) per bambino. Percentuali che crescono se
analizziamo i dati relativi ai contesti urbani. Guardando al Veneto, il
rapporto a Verona città sale quasi a cinque anziani per bambino, dato superato
come prevedibile da Venezia, dove per ogni bambino vivono sei anziani. Il
quadro è completato dai dati relativi all’indice di vecchiaia, che misura il
numero di anziani presenti ogni 100 giovani (0-14 anni). Come si vede dal
grafico sottostante, il rapporto 1 a 1 viene raggiunto nella seconda metà degli
anni novanta del secolo scorso. Prima i bambini superavano gli anziani. Da questo
momento abbiamo assistito e stiamo assistendo a un’accelerazione. Oggi siamo a
161,4 ultra sessantacinquenni ogni 100 bambini/adolescenti tra 0 e 14 anni. che
corrisponde a 159 nel Veneto e a 166,8 nel nord-est e oltre 173 nel nord-ovest.
Nel complesso, l’età media della popolazione si accresce tra il 2015 e il 2016
di ulteriori tre decimi, arrivando a 44,7 anni.
Indice di vecchiaia (a) ai censimenti 1861-2011 e negli anni 2012-2016.

Nel 2020 salirà a 47 e nel 2050 a 51 anni e mezzo. Un confronto con gli altri Paesi europei ci dice che insieme alla Germania e alla Grecia siamo e saremo il Paese più vecchio del continente. La fotografia di oggi ci vede più vecchi mediamente di tutti i Paesi ad eccezione della Germania, che nel 2020 supereremo, distaccandola nel trentennio successivo. I 4 punti in più rispetto alla Francia sono destinati a diventare 7, i 4 rispetto alla Svezia diventeranno 10 e i 5 in più che abbiamo rispetto alla Gran Bretagna diventeranno 7. Siamo di fronte a uno senario che richiederebbe politiche aggressive, scelte coraggiose e strategie di investimento adeguate. Dal nostro punto di vista impongono al sistema dell’offerta una riflessione attenta in grado di riconfigurarsi intorno a questi nuovi parametri costruendo percorsi in grado di ripensare modelli edilizi e abitativi mettendo a valore le grandi potenzialità offerte dalla tecnologia e dagli strumenti della digitalizzazione.
Spazi, qualità edilizia e benessere abitativo: come cambia il mercato
Come si è visto la società italiana sta cambiando profondamente. Il futuro che ci aspetta è caratterizzato da un calo della popolazione, una crescita dell’età media e, di conseguenza, un aumento del numero degli anziani, sia in termini assoluti che in relazione al resto della popolazione. Egualmente crescerà il numero delle famiglie mononucleari e delle persone sole, che saranno sempre più anziane. Persisterà e forse crescerà il dinamismo e la mobilità familiare e separazioni e divorzi renderanno più complessa la gestione dei figli, aumentando le esigenze di vecchi e nuovi genitori, naturali o acquisiti. Tutto questo ha e avrà un’incidenza
rilevante sul mercato immobiliare. Cambiano le esigenze rispetto agli spazi,
così come si modificano i modelli relazionali. Quantitativamente resta alta la
domanda abitativa soprattutto delle prime abitazioni, mentre diventa essenziale
riutilizzare e riadattare un patrimonio progettato per strutture familiari oggi
marginali o in forte trasformazione. Sopra ogni altro aspetto vi è l’invecchiamento,
accompagnato dalla solitudine, che richiederebbe una strategia nazionale e un
grande impegno di visione. Essere anziani vuol dire maggiori problemi e più
attenzione alla salute e quindi all’intreccio tra assistenza e sanità. Un
aspetto che ci porta a evidenziare come oggi qualunque strategia immobiliare,
sia che riguardi la riqualificazione o la nuova edilizia, non possa non partire
dai servizi. È qui la chiave, il fulcro intorno a cui progettare la casa del
futuro. La casa da ambiente costruito diventa contenitore di funzionalità,
predisposto ad assicurare la gamma più ampia possibile di servizi, secondo una
logica fondata sulla interconnessione tra le persone e tra le cose, ma
soprattutto tra persone e cose. La rivoluzione digitale costituisce uno degli
assi portanti che attraversa il costruire iniziando dalla progettazione per l’intero
ciclo di vita di un edificio. L’innovazione sul piano dei materiali e delle
tecnologie amplifica le potenzialità di scelta e il nuovo ecosistema scompiglia
le carte tra i diversi attori chiamati al tavolo dell’edilizia. L’abitare diventa
un modo di essere. Il futuro interconnesso lega in maniera sempre più indissolubile
i diversi mercati dell’abitare, gli infissi agli elettrodomestici, agli impianti,
rendendo sempre più marginali le strutture, se non sul piano della loro
solidità, durabilità e sostenibilità. L’offerta si fa sempre più integrata. Nel
nuovo scenario diventa essenziale superare il modello tradizionale d’impresa e
definire una strategia in grado di cogliere le opportunità dell’innovazione e del
cambiamento. Per le imprese di costruzione è fondamentale ritrovare una collocazione,
operando scelte fondate su un’attenta e consapevole valutazione delle nuove
opportunità offerte dallo scenario demografico in evoluzione, sapendo andare
oltre il modo tradizionale di fare impresa ed edilizia. Servono nuove
competenze e un’organizzazione aziendale coerente. Bisogna avere la
consapevolezza dell’esistenza di una catena del valore sempre più estesa, caratterizzata
da complessità di processo, dalla presenza di una molteplicità e da un numero
crescente di attori e da una irrinunciabile e tempestiva interazione.
Tutto
ciò comporta l’adozione di nuovi modelli di business orientati verso un’offerta
che tenga conto dei nuovi trend socioculturali ed economici emergenti,
attribuendo all’aspetto finanziario il giusto peso all’interno dei fattori di
scelta. E, conseguentemente, individuare nuove soluzioni di
commercializzazione, prestando la massima attenzione all’evoluzione della
società e alle nuove esigenze, presentando modalità innovative che vadano, ad esempio,
oltre la tradizionale dicotomia proprietà/affitto, valorizzando l’integrazione verso
un’offerta chiavi in mano dal progetto alla costruzione, dall’arredamento alla
gestione della manutenzione.