Un Paese bloccato, un Paese di
parole, di impegni teorici, di buone intenzioni. La recente presentazione
del periodico Rapporto congiunturale
dell’Ance lo conferma. Ancora una volta le previsioni per l’industria italiana
delle costruzioni e sulle prospettive del mercato vengono rilette al ribasso.
Una sequenza di dati, tabelle e grafici a confermare che la recessione
continua. Eppure nel 2016 le speranze c’erano state. Il superamento del patto
di stabilità, le correzioni alla gestione dei bilanci comunali, l’impegno
finanziario a investire sulle opere pubbliche avevano fatto sperare che la
ripresa fosse possibile. Ma niente da fare, il blocco degli investimenti
prosegue e con esso un nuovo modello di gestione degli appalti pubblici basato
sulla presunzione di corruzione che ha di fatto paralizzato un mercato
affossato da un codice degli appalti anch’esso promettente nelle intenzioni e
nell’impianto teorico, ma reso inattuabile da carenze strutturali e di
competenza e quindi di presa di responsabilità da parte delle strutture
amministrative pubbliche. C’è una carenza tecnica, di capacità di gestione e
soprattutto di valutazione delle offerte che colpisce a morte l’intero sistema
delle opere pubbliche. Là dove ci si aspetterebbe una piena corrispondenza tra
sistema e interesse pubblico ecco che ci si ritrova con appalti di lavori
selezionati non cercando la qualità delle opere, la loro funzionalità e una reale
corrispondenza tra caratteristiche tecniche e costi, bensì sacrificando tutto
questo sull’altare del principio della libera concorrenza. Con il risultato che
il meccanismo dominante diventa il sorteggio. Sia nella selezione delle imprese da invitare alle
gare, indipendentemente dalla loro capacità di rispondere adeguatamente alle
caratteristiche richieste dai bandi, come nel caso di alcune opere per la
ricostruzione nelle zone dell’Appennino centrale colpite dal sisma; sia al momento
dell’affidamento dei lavori, vista la difficoltà di selezionare un numero
elevato di imprese basato su una documentazione sostanzialmente formale.
Nell’analisi così come nelle
proposte avanzate dall’Ance si riscontra un’articolazione, una pluralità di
elementi e di richieste di cambiamento normativo. Un esercizio che rischia di
essere sterile e inutile di fronte al moloch di una pubblica amministrazione
inadeguata e paralizzata sul piano dell’esercizio delle proprie responsabilità.
Ciò anche per effetto “rischio procura della repubblica”. E’ qui che dovrebbe
essere puntato l’obiettivo. E’ qui che la battaglia deve essere veloce e vinta.
L’alternativa sembra essere una lenta agonia soprattutto di quelle medie
imprese dove ancora competenze e attenzione alla qualità sopravvivono. Viceversa
tutto sembra congiurare per un’accelerazione ulteriore del degrado. Con la
conseguenza che appare quanto mai ipocrita poi lamentarsi e denunciare crolli,
opere malfatte, una inaccettabile scarsa qualità edilizia e scandali facilmente
prevedibili da qualunque addetto ai lavori, responsabile competente ed onesto.
Questo per quanto riguarda il
mercato pubblico. Sul fronte del mercato privato la nostra convinzione è che la
centralità non possa che diventare la rigenerazione urbana e del territorio. E’
qui che si dovrebbero con concentrare le risorse. E’ qui che andrebbe
incentivata l’innovazione normativa come quella tecnologica per aprire il
mercato, spostando l’attenzione sulla trasformazione in grado di generare nuova
economia così da guidare processi virtuosi a sostegno di una ridefinizione delle relazioni sociali alla luce della
contemporaneità. Incentivi, politiche industriali e strategie di sviluppo
dovrebbero concentrarsi qui, creando le condizioni per attirare gli
investimenti privati. Le logiche di pianificazione che stavano alla base di un
progetto come “Casa Italia” sembravano indicare un’inversione di rotta, un
cambiamento di approccio. Ma poi tutto è tornato alla “normalità”, alla
gestione parcellizzata delle risorse, alla paura di un salto di scala. Perché
la sensazione che molti imprenditori hanno è che oggi nel nostro Paese un
mercato edilizio trasparente, fondato su obiettivi irrinunciabili come la
sicurezza e la sostenibilità, ovvero abbattimento dei consumi energetici e
dell’impatto di CO2 e in grado di
valorizzare risorse e competenze tecniche, professionali e imprenditoriali
resti marginale. Così come resta diffusa la convinzione che le scelte politiche
in atto siano destinate ad aggravare la situazione invece che invertire il
destino delle costruzioni italiane.